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A cura del Dott. Oliviero Rossi – Oggi sono sempre più comuni diagnosi di presunte allergie-intolleranze alimentari, spesso effettuate sulla base di metodiche non scientifiche, non riproducibile e quindi non affidabili. Tutto ciò comporta problemi clinici non risolti, ma anche un notevole aggravio di costi per il paziente e per la società. Sulla base di tali test vengono infatti prescritte delle diete che non hanno alcuna base scientifica.

Molto spesso vengono attribuite all’allergia alimentare tutta una serie di manifestazioni cliniche che nulla hanno a che vedere con l’allergia vera e propria.

L‘intolleranza alimentare sempre più frequentemente viene indicata come causa di cefalea, stanchezza, aumento o perdita di peso, prurito, disturbi gastrointestinali (tensione e gonfiore addominale, diarrea, stipsi, ecc.), riduzione delle prestazioni fisiche anche in ambito sportivo.

La reazione negativa al cibo è spesso erroneamente definita allergia alimentare. In molti casi è provocata da altre cause come un’intossicazione alimentare di tipo microbico, un’avversione psicologica al cibo o un’intolleranza ad un determinato ingrediente di un alimento.

L’allergia alimentare è una forma specifica di reazione avversa ad alimenti o a componenti alimentari che attiva il sistema immunitario. Un allergene (proteina presente nell’alimento a rischio che nella maggioranza delle persone è del tutto innocua) innesca una catena di reazioni del sistema immunitario tra cui la produzione di anticorpi specifici.

Gli anticorpi quando entrano in contatto con l’allergene (es. latte) determinano il rilascio di sostanze chimiche organiche, come l’istamina, che provocano vari sintomi: prurito, nausea, tensione e gonfiore addominale, diarrea. Le allergie agli alimenti o ai componenti alimentari sono spesso ereditarie e vengono in genere diagnosticate nei primi anni di vita.

L’intolleranza alimentare coinvolge il metabolismo ma non il sistema immunitario. Un tipico esempio è l’intolleranza al lattosio: le persone che ne sono affette hanno una carenza di lattasi, l’enzima digestivo che scompone lo zucchero del latte. La quantità di latte e latticini tale da determinare sintomi di intolleranza è molto variabile. Molti soggetti che hanno una ridotta attività intestinale della lattasi possono bere un bicchiere di latte senza alcun problema.

Analogamente, i formaggi stagionati, che hanno un basso contenuto di lattosio, e i prodotti a base di latte fermentato, come lo yogurt e il parmigiano, sono in genere ben tollerati. Nel caso di intolleranza ai solfiti, presenti ad esempio nel vino bianco e nella frutta secca, è possibile avere manifestazioni cliniche anche gravi come l’asma, orticaria, edema della gola.

Appare evidente che deve essere scoraggiata l’autodiagnosi ed i test effettuati direttamente senza prescrizione medica. Quando si sospetta una reazione avversa a seguito dell’ingestione di uno o più alimenti è necessario chiedere aiuto al proprio medico, che valuterà l’invio allo specialista competente.

È quindi necessario rivolgersi allo specialista o in primis al proprio medico di famiglia, che sarà in grado di indicare al paziente gli approfondimenti e gli specialisti adatti al proprio caso per effettuare le classiche prove allergologiche cutanee e gli eventuali test allergologici sul sangue.

Un altro suggerimento è evitare i metodi “fai-date” molto spesso reclamizzati in Internet tra i quali il ricorso a tecniche diagnostiche o terapie “alternative” del tutto prive di ogni valenza scientifica ed attendibilità.

Lo specialista è in grado di valutare quali indagini prescrivere per formulare la diagnosi più corretta. Per tali ragioni appare di assoluta necessità definire in maniera netta e rigorosa il concetto di “allergie” e quello di “intolleranza alimentare” e di classificare i diversi tipi di reazioni in base a rigorosi criteri scientifici.

La diagnostica che utilizza metodiche di non provata efficacia può risultare di particolare attrattiva per il paziente a causa della relativa semplicità dei test che vengono accompagnati da spiegazioni semplici, facilmente accessibili anche al non addetto ai lavori, che utilizzano terminologia particolarmente “efficaci” come ad esempio “tossico”, “biologico”, “naturale”, “ecologico”.

La loro scarsa credibilità scientifica dipende anche dal fatto che non hanno superato i controlli dei trial a cui sono stati sottoposti. Questi test rientrano nella pratica della medicina cosiddetta “alternativa” in quanto le procedure impiegate sono in disaccordo con le attuali conoscenze patogenetiche delle malattie allergiche.

Spesso il paziente, oltre ad un carico economico non indifferenze, ha riposto in tali test delle speranze e delle attese. Tali metodiche, sono oltre che inappropriate, anche inefficaci e in alcuni casi possono anche essere non sufficientemente sicure e quindi dannose, in quanto possono ritardare una diagnosi corretta e quindi l’applicazione dei provvedimenti terapeutici più idonei. Spesso, infatti, evidenziano delle presunte allergie o intolleranze a molteplici alimenti, sulla base delle quali vengono prescritte diete approssimative, talora prive del necessario apporto calorico e vitaminico.

Le diete di esclusione autogestite, inappropriate e restrittive, possono comportare un rischio nutrizionale non trascurabile e, nei bambini, scarsa crescita e malnutrizione.

Quando si intraprende una dieta di esclusione, anche per un solo alimento o gruppo alimentare, devono essere fornite specifiche indicazioni nutrizionali, per assicurare un adeguato apporto calorico e di macro e micronutrienti. • Non deve essere eliminato dalla dieta il glutine senza una diagnosi certa di malattia celiaca, sensibilità al glutine o allergia al grano. • Non eliminare latte e derivati dalla dieta senza una diagnosi certa di intolleranza al lattosio o di allergie alle proteine del latte. • La diagnosi di tali condizioni deve essere effettuata in ambito sanitario specialistico e competente tramite test specifici e validati.

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