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A cura del Dott. Pasquale Palumbo – Questa malattia prende il nome da Alois Alzheimer, psichiatra e neuropatologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse la sintomatologia, gli aspetti neuropatologici e all’autopsia notò segni specifici nel tessuto cerebrale (agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e fasci di fibre aggrovigliate neuro-fibrillari). Oggi le placche formate da proteine amiloidi vengono considerate gli effetti di una malattia di cui, nonostante gli sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.
La demenza di Alzheimer, al momento priva di una risposta terapeutica adeguata, colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e si stima che siano cinquanta milioni le persone affette nel mondo e settecentomila soltanto in Italia. Circa due terzi vivono in nazioni a basso e medio reddito pro capite, dove è previsto il maggior aumento numerico.
È la forma più comune di demenza senile che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. Questa malattia rappresenta una delle patologie cronico-degenerative con più rilevante impatto sul consumo di risorse sanitarie e socio-assistenziali e con più ampio coinvolgimento delle famiglie nei compiti di assistenza e tutela dei soggetti colpiti.
Proprio la famiglia è la seconda vittima della malattia la quale rappresenta sempre più un ulteriore costo anche per le sue cure.
La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati confusionali, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
La malattia progredisce lentamente ed inizia decenni prima dei sintomi clinici e mediamente la sopravvivenza è di circa 8-20 anni dopo la diagnosi.
L’inizio, di solito, è subdolo; il paziente comincia ad accusare prima incostanti disturbi di memoria che riguardano la vita quotidiana; successivamente questo deficit si estende al dimenticare come pianificare il futuro, a non ricordare gli eventi del passato e le conoscenze acquisite.
Il paziente, nelle fasi iniziali ed intermedie, può porre più volte le stesse domande, si può perdere in luoghi familiari ed essere incapace di seguire indicazioni precise. La rapidità con cui i sintomi si presentano varia da persona a persona.
Inoltre si possono manifestare crescenti difficoltà nella produzione del linguaggio e nell’orientamento. Quando la demenza si aggrava si possono manifestare problematiche comportamentali, psichiatriche. In tali fasi si aggiungono difficoltà progressive anche nella cura della persona ed il paziente non riesce a riconoscere nemmeno i propri cari e necessita di aiuto ed assistenza, anche per espletare i comuni atti della vita quotidiana; il malato smette di mangiare, non comunica più, diventa incontinente, è costretto a letto o su una sedia a rotelle. La durata di ogni fase varia da persona a persona e in molti casi una fase può sovrapporsi all’altra.
Una diagnosi certa di demenza di Alzheimer viene formulata mediante l’autopsia del cervello, e quindi dopo la morte, evidenziando la presenza di placche amiloidi nel tessuto cerebrale. Quindi durante il decorso della malattia è possibile formulare solo una diagnosi ‘possibile’ o ‘probabile’. Per giungere a questa ipotesi diagnostica è necessario avvalersi di un accurato esame clinico del paziente e di una adeguata batteria di test neuropsicologici. In alcuni casi possono essere utili anche esami ematochimici, urinari, del liquor cerebrospinale o di neuroimaging (TAC, RMN, SPECT, PET).
Questi esami servono per confermare la diagnosi ed escludere altre possibili cause che portano a sintomi simili, come malattie tiroidee, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi sanguigni cerebrali.
Come in altre malattie neurodegenerative, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni.
Oggi purtroppo non esistono farmaci in grado di arrestare o far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, farmaci inibitori della acetilcolinesterasi come tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Un’altra teapeutica prevede il ricorso a farmaci che agiscano direttamente sul sistema glutamatergico, come la memantina.
Altri farmaci, inoltre, possono aiutare a contenere i problemi comportamentali e i disturbi che li provocano (alterazione dell’ideazione, allucinazioni, insonnia, ansia e depressione).
La realizzazione di farmaci innovativi per la demenza di Alzheimer è oggi un campo in grande sviluppo ed una linea di ricerca attiva è quella che punta sullo sviluppo di una risposta immunologica contro la malattia, mediante la somministrazione di anticorpi monoclonali che hanno come obiettivo quello di rimuovere l’amiloide nel cervello. Un’altra linea di ricerca prevede la somministrazione di molecole che inibiscono la beta-secretasi, una proteina che concorre nella produzione di amiloide.
Ma in assenza di terapie efficaci nel contrastare questa terribile malattia è possibile agire per prevenirla; è infatti noto che alcuni fattori di rischio sono associati allo sviluppo di questa demenza (stile di vita sedentario, fumo, diabete, dieta povera, etc) per cui è possibile ridurre la probabilità di ammalarsi attraverso un’alimentazione sana, un allenamento della mente mantenendo interessi, rapporti sociali significativi e gratificanti, praticando attività fisica, astenendosi dal fumo ed evitando tutti i fattori che possano favorire patologie vascolari come ipertensione, elevato indice di massa corporea, diabete e ipercolesterolemia.
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